Food delivery: chi offre di più?

Food Delivery si traduce con “consegna a domicilio di pietanze di vario tipo” e, soprattutto in questi ultimi tempi, è un termine che è letteralmente entrato nelle case di tutti.

Per i clienti è diventato normale ordinare con un click, e i ristoratori si stanno adeguando sempre più velocemente, spesso affidandosi alle scorciatoie offerte dalle grandi catene di delivery, cosiddetti “marketplace” quali ad esempio Glovo, JustEat, Deliveroo, che offrono al ristoratore la piattaforma per gli ordini, il marketing e, naturalmente, i riders per le consegne.
Ma è veramente un affare per un piccolo-medio imprenditore del settore food?

Scopriamo insieme il mondo del food delivery e le soluzioni offerte dal mercato per capire cosa conviene realmente e a chi, e quali sono le alternative per un food delivery business realmente sostenibile per gli imprenditori del settore.

Insieme al Takeaway, cioè l’asporto, in seguito appunto alla pandemia, il Food Delivery è diventato la principale fonte di introiti per il mondo della ristorazione in seguito all’inizio della pandemia. Certo, il servizio era già disponibile da anni e, soprattutto nelle grandi città, era già molto apprezzato.
Oggi però è la vera tendenza del momento nel mondo della ristorazione. Del resto, la situazione pandemica ci ha messi di fronte a lunghi periodi di chiusura al pubblico dei ristoranti, ed a limitazioni negli spostamenti delle persone.
Molto meglio starsene seduti sul divano, ordinare qualcosa da mangiare con un’app, un sito internet, canale social o una telefonata e aspettare che ve lo portino direttamente a casa, ed una volta terminata la necessità di utilizzare questo servizio beh... La natura umana è pronta ad adattarsi presto a situazioni di comfort. Voi che dite?

 

Cosa ordiniamo?

Nella classifica dei piatti più ordinati dagli italiani, troviamo al primo posto Sua Maestà La Pizza, nella classica e intramontabile margherita, seguita dalla piccante diavola e dalla variegata capricciosa. Sul podio si confermano ancora l’hamburger, con una preferenza per il cheeseburger, e il giapponese, subito seguito dal sushi, che resta saldo in terza posizione grazie ai tanto amati nigiri al salmone, agli uramaki ebiten e al sashimi di salmone. E se al quarto posto si posiziona nuovamente la cucina cinese, in quinta posizione che si trova la prima novità, il poke. Un fattore del suo successo è la versatilità, che va oltre l’originale hawaiano: se infatti il più ordinato è il poke al salmone, al secondo posto c’è la formula “componi il tuo poke” che consente di variare quasi tutti gli ingredienti andando incontro ai propri gusti.

Oltre ai piatti più gettonati, la ricerca rivela anche le proposte in crescita e i food trend del momento, in un perfetto connubio tra tradizione e ricerca di sapori esotici. Se da un lato, infatti, sono aumentate considerevolmente le proposte e quindi gli ordini di specialità regionali (+43%), dall’altro si registrano exploit come quello della cucina  libanese, che registra una crescita del 93%, seguita da quella thailandese (+61%). Cresce anche la cucina salutare, con sempre più persone che prestano maggiore attenzione a quello che mangiano (o che vogliono tornare in forma, dopo il periodo per molti di “pax pandemica” delle diete e dell’attività fisica), come confermato dall’incremento delle insalate (+50%) e delle specialità healthy (+32%), ma anche dalla scoperta della cucina vegana, che sta guadagnando popolarità e segna un +67%.

Un’evoluzione positiva guidata soprattutto da piatti come la torta salata alle verdure, la pita falafel e il babaganoush, mentre tra i piatti vegetariani più ordinati spicca l’hamburger vegetariano, la cui crescita è legata in parte al trend in ascesa della carne vegetale, dalla consistenza e sapore molto simili alla carne classica. Seguono il wrap veggie e l’hummus.

 

Un po’ di numeri

La diffusione e il forte utilizzo di app dedicate che gestiscono e semplificano il servizio completo di food delivery ha permesso a questo settore di continuare la sua corsa inarrestabile, registrando una crescita del 59% rispetto al 2020 e generando un valore di 1,5 miliardi di euro.
Una spinta che oggi permette l’accesso al servizio a quasi i due terzi della popolazione e che è guidata da un lato dall’evoluzione tecnologica, dall’altro dall’accelerazione dovuta all’emergenza pandemica, durante la quale il food delivery si è dimostrato essere uno strumento essenziale tanto per le persone, quanto per la ristorazione[1].

Uno studio condotto proprio da Just Eat, indica che nell’ultimo anno la percentuale dei ristoratori che ha scelto il digitale per ampliare il proprio business è cresciuta del 50% rispetto all’anno precedente; inoltre, si è registrato un ulteriore 12% di espansione e rafforzamento della presenza territoriale.

Osservando i dati rilevati da Coldiretti sul food delivery si nota che almeno una volta al mese circa 4 milioni di italiani si sono fatti consegnare cibo a domicilio. Da un punto di vista sociodemografico distinguiamo molte sfaccettature:
gli utenti più attivi nel food delivery si confermano essere i Millennials che, insieme alla Generazione X e Z, raggiungono l’87% del totale e sono suddivisi in maniera omogenea tra uomini e donne (51% e 49%).

Ben l’82% degli ordini avviene attraverso le app per dispositivi mobile (principalmente da cellulare). Gli ordini sono motivati dal bisogno di togliersi uno sfizio culinario (27%) o dalla volontà di rilassarsi dopo una giornata di lavoro o studio (19%), possibilmente insieme al partner (46%) o alla famiglia e agli amici (22%).

I momenti preferiti dagli italiani per ordinare?  La cena (54%) e l’ora dell’aperitivo/break pomeridiano (24%). Solo il 13% preferisce concedersi in pausa pranzo una consegna a domicilio.

Guardando oltre i confini italiani, l’early dinner è preferita nei Paesi Bassi (55%), in Svizzera (39%) e Germania, dove si ordina spesso anche in pausa pranzo (38%), mentre cenare nel classico orario italiano dalle 19 in poi, è gradito soprattutto in Spagna (66%) e Francia (58%).

 

Da chi ordiniamo? Ovvero I MARKETPLACE.

Il ristoratore, ovvio, è quel motore immobile nella galassia della produzione ma, il servizio è garantito e alimentato da quelli che, da piccole startup, sono diventati i giganti del digital Food Delivery. Stiamo parlando dei MARKETPLACE come JustEat, UberEATs, Deliveroo, Glovo, giusto per citare i più conosciuti, ma ne nascono continuamente di nuovi, che cercano di ritagliarsi una fetta di questa torta che per il momento si stanno spartendo in pochi.

L’aumento vertiginoso dell’utilizzo, durante la pandemia, da parte degli utenti di altre piattaforme di consegna per beni e servizi (Amazon, Alibaba, etc...) e il forzato periodo per molti di clausura, o comunque di limitato movimento, ha contribuito non poco alla crescita di questo settore che, in poco tempo è diventata enorme.

Questo boom sembra destinato a continuare, con clienti che diventano sempre più esigenti su tutti fronti: facilità d’uso dei sistemi di prenotazione, scelta, qualità, gusto, cortesia, velocità del servizio e, non ultimo, la convenienza.

Ma che cos’hanno in comune tutte queste “majors del delivery”? Qual’è il loro business model comune? E perché da piccole startup sono diventate delle aziende quotate?
La risposta è semplice: forniscono ai ristoratori il futuro! Fanno tutto quello per il quale non ti sei mai strutturato: ti garantiscono un servizio di menu e ordine digitale preciso e facile per i clienti, e la consegna dei prodotti con propri fattorini (in gergo riders), di cui non sei responsabile penalmente ed economicamente. All inclusive, insomma. Un bel passo avanti nello stagnante pantano di ignoranza (e insofferenza) digitale in cui si muovo la maggior parte dei ristoratori, soprattutto takeaway (abituati ad un livello comunicativo fatto da pizzini, telefonate, urli…).
In definitiva: la vera quota distintiva è che non sono state messe in campo soltanto tecnologie digitali, ma un vero e proprio esercito di propri riders per rendere il servizio costante, affidabile e soprattutto: veloce. Basta letteralmente premere un tasto.

Anche per i clienti è un bel vantaggio: ordini con app, paghi con carta di credito e un fattorino rapido, silenzioso (e tracciabile) ti consegna il cibo ancora caldo, in tempi ragionevolissimi, oppure ti rimborsiamo!

 

E i ristoratori?

Per chi ordina è tutto facile. Basta scorrere l’app, dare un occhio alle promozioni e in pochi minuti la cena è sistemata. Tra sconti e consegne a basso costo, sulle grandi piattaforme del cibo a domicilio per un utente risulta quasi sempre vantaggioso ordinare dalla piattaforma, d’altronde anche le piattaforme stesse sono in concorrenza tra di loro e usano la leva del prezzo e del rimborso come chiave per le loro strategie di marketing. Tutto bene, anzi benissimo per il cliente finale.

Ma cosa c’è dietro al prezzo che leggiamo sullo scontrino che arriva a casa?

Anche più della metà di quello che paghiamo per mangiare una pizza o un panino sul divano può finire nelle casse dei colossi del food delivery. “Tra commissioni, sconti e costi di promozione e visibilità, troppo spesso il costo totale in fattura trattenuto dagli operatori di delivery supera il 50%”, racconta Enzo Ferrieri, fondatore di Cioccolati Italiani e presidente di Ubri, l’Unione brand ristorazione italiana.

Sembra incredibile, ma proviamo a capire meglio come funziona il meccanismo:

 

La “riffa” dei costi delle piattaforme

Tra costi fissi, commissioni, sconti e costi di promozione non è facile capire esattamente quanto spende un ristoratore affidandosi ad una piattaforma terza per trasportare i propri prodotti.

Sono diversi i punti critici da affrontare quando un ristoratore decide di affidarsi a piattaforme come DeliverooGlovoUberEats e Just Eat, che gestiscono circa il 25% del traffico dell’intero settore. Si parte da quelli di attivazione che variano da una piattaforma all’altra, la media è intorno ai 200 euro. UberEats riporta esattamente quella cifra, Deliveroo parla solo di “poche centinaia di euro” ma preferisce non indicare l’importo esatto, Glovo si limita a far riferimento a un “una tantum”. Ma il punto fondamentale è il costo del servizio (commissione), di solito frutto di una trattativa diretta tra le parti in cui, come è evidente, il singolo ristoratore non ha quasi nessun potere contrattuale mentre le piattaforme hanno decisamente più chance di ottenere condizioni migliori usando come metriche di valutazione la tipologia di cucina, lo scontrino medio e la scelta di lavorare in esclusiva. Le commissioni applicate da Glovo si aggirano in media intorno al 30% e solitamente non superano la soglia del 35, UberEats chiede il 14 per cento per il solo servizio di vetrina e il 30 per cento per la consegna, simile a Just Eat che va dal 14 al 29 per cento.

In molti casi quindi al ristoratore non solo non rimane alcun margine, ma addirittura rischia di rimetterci.  Perché ricordiamoci che di solito si parla di locali fisici che pagano già tasse e utenze, oltre ai costi diretti, come materie prime e del personale. Il tutto da coprire con il 50% di ricavo che rimane in tasca.

 

Chi comanda il gioco

La concorrenza tra le piattaforme stesse diventa sempre più spietata. Si cerca di offrire sempre il massimo per accaparrarsi nuovi clienti e fidelizzare i vecchi, ovviamente senza condividere i dati con i ristoratori. Avete capito bene. I dati dei vostri clienti sono in realtà di proprietà e di esclusivo utilizzo delle piattaforme. Non potete fare marketing diretto ai vostri clienti (i vostri!) che sono condivisi tra tutti i player presenti sulla piattaforma. E se disdite il contratto, li dovrete cercare e ricontattare uno ad uno. È come se il fattorino che consegna il quotidiano di una testata nazionale, fosse l’unico a conoscere i nomi e gli indirizzi degli abbonati al giornale.

In pratica la piattaforma vi da la visibilità ai clienti, ma se ve ne andate, i vostri clienti li servirà qualcun altro e voi dovrete ricominciare da zero, e da soli.

Tra le strategie utilizzate dalle App della categoria Marketplace ci sono, per esempio, le promozioni che offrono la consegna gratuita o a 1euro ai clienti dell’app. Molto spesso però la promozione ricade sui locali, che si trovano a dover pagare alla piattaforma il mancato incasso del trasporto, attraverso una quota fissa o mettendo di tasca propria la differenza su ogni consegna in più fatta nel periodo promozionale rispetto alla media.

Poi ci sono le campagne sconti organizzate dalle piattaforme in determinati periodi o per specifiche tipologie di ristoranti e prodotti (black friday, San Valentino, “la settimana del sushi”, etc...)

Queste strategie sono in grado di orientare fortemente le scelte del consumatore finale e i ristoranti che non aderiscono a queste iniziative delle piattaforme rischiano di trovarsi senza ordini in quel periodo. Oltretutto i costi di queste attività possono essere a carico delle piattaforme, del ristoratore o condivise, ma è chiaro che se non si aderisce a queste iniziative (tra l’altro previste da tutte le grandi app del settore) compromette seriamente la visibilità del ristorante.

 

La guerra del Posizionamento

Grazie al Machine Learning, sono stati creati degli algoritmi di graduatoria o listing (che, secondo le piattaforme sono meritocratici) per determinare la visibilità dei ristoranti. Il funzionamento di questi algoritmi è simile a quello che regola il lavoro dei fattorini: tengono conto delle recensioni dei clienti, della disponibilità sulla piattaforma (se si sta troppo in offline o si rifiutano gli ordini la valutazione, (rating),  si abbassa).

Molto spesso la “posizione in classifica”, (ranking), del ristorante peggiora per cause a lui non imputabili, come ad esempio una tempistica prolungata per la ricerca di un rider disponibile, che è gestita direttamente dalla piattaforma.
Questo processo può portare ad accumulare ritardi dove ordini inizialmente diluiti si possono accavallare in pochi minuti, o slittare per l’interruzione improvvisa del servizio da parte del rider e i relativi tempi di rielaborazioni della piattaforma per individuarne un altro.

Spesso Il cliente di questo non sa nulla, vede solo il ritardo sulla schermata e valuta negativamente l’esperienza, il ristorante invece si trova a dover buttare la pietanza, rifarla e vedersi inoltre abbassata la visibilità. Questa “visibilità” che sostanzialmente significa un posizionamento migliore, (come le pubblicità (ads) su Google o Facebook), può essere ottenuta in modi diversi a seconda dell’app in esame: Glovo afferma che i partner possono richiedere una determinata indicizzazione se decidono di attivare una promozione, mentre su Just Eat si può acquistare la possibilità di occupare le prime posizioni all’interno di determinate aree di consegna. UberEats si limita a dire che le partnership con i ristoranti comprendono anche miglioramenti in termini di posizione e visibilità. Deliveroo invece afferma che l’ordine con cui vengono mostrati i risultati nella piattaforma non è un servizio in vendita.

Un esempio pratico

Supponiamo che un ristoratore riesca ad ottenere una commissione del 30%, dove il valore medio di un ordine è di circa €10. Ricevendo 200 ordini si genererebbe un fatturato di €2.000 + IVA (€2.440) e il costo del servizio di consegna in quel mese sarebbe di € 732... Ed ecco che magicamente la commissione supera il 36% e il valore medio di un ordine diventa di € 6,34 mandando il ristoratore inevitabilmente in perdita.

 

Conclusioni

Insomma, a chi conviene appoggiarsi alle grandi aziende di delivery? Principalmente… A loro stessi, ma anche alle grandi catene del food, che con la loro forza commerciale riescono a spuntare percentuali personalizzate per il servizio. Al piccolo ristoratore, beh, è da valutare con attenzione.

La verità è che con i nuovi flussi di ordini di ritiro e consegna, balzati ad un livello molto più alto in questi ultimi due anni, non è più possibile improvvisare, perché il cliente è diventato molto più esigente. Ed ecco perché sempre più ristoratori sono alla ricerca di soluzioni alternative e/o tecnologie proprietarie per offrire, o migliorare, il servizio di delivery e takeaway.

Con questo non vogliamo dire che i marketplace sono il male, anzi. Per una startup può essere il modo migliore per acquisire nuova clientela velocemente e per farsi conoscere, ma nel lungo periodo, e come sola ed unica soluzione di vendita e marketing, potrebbe rivelare sorprese non gradite. I marketplace infatti, si rivelano molto utili per attirare nuova clientela con poco sforzo da parte del ristoratore, ma quando si ha già una buona base clienti, conviene tenersi stretto il proprio database e fidelizzare da se i propri clienti, senza abbandonarli alle decisioni commerciali di terzi. Altra cosa molto importante è capire bene se si è in grado i sostenere i costi di queste piattaforme, che crescono con l’aumentare dei profitti.
Diversi ristoratori dichiarano di offrire questo servizio solo per rimanere a contatto con i clienti, e si sono trovati a scegliere questo sistema dall’urgenza del momento, dal costo basso di impianto e (apparentemente) proporzionale alle vendite e, soprattutto, dall’assenza di alternative.

Le alternative in realtà ci sono e, per quelle realtà già affermate e con una solida clientela, una soluzione interessante potrebbe essere quella di avvalersi di una soluzione proprietaria per la gestione degli ordini e di avvalersi dei marketplace soltanto marginalmente, per aumentare la visibilità e attirare nuovi clienti, o magari a supporto della propria rete di riders nei giorni di picco.

Per concludere: in risposta alla domanda del titolo: Chi offre di più? La risposta sei tu. Perchè il tuo business è unico ed è tuo. Soltanto tu conosci i tuoi clienti e puoi sapere come servirli al meglio e controllare la qualità del servizio che offri. Pensa: una grande azienda del delivery penserà prima di tutto al proprio business, non al tuo.

Se ti interessa approfondire questo argomento, o se stai proprio cercando la soluzione veramente su misura per il tuo business e che ti permetta di gestire senza intermediari i tuoi clienti e gli ordini, contattaci. Saremo felici di farti conoscere BUONAPPE.

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